Al Convegno

Fare mondo: poetica del futuro dimenticato

partecipano

Clotilde Barbarulli: Fra i miei impegni è centrale quello nell’Associazione Il Giardino dei Ciliegi di Firenze per le attività politico culturali (www.ilgiardinodeiciliegi.firenze.it) curando con altre amiche incontri sui femminismi, la politica, l’intercultura, la precarietà, valorizzando il pensiero e la pratica di donne. Inoltre collaboro alla Libera Università di donne e uomini Ipazia, un confronto fra diverse generazioni sull’abitare la città e il territorio. È importante anche il lavoro di riflessione su autrici nel gruppo ‘fiorentino’ della Società italiana delle letterate, perché la lettura per me è un percorso anche di dialogo e scambio, un viaggio iniziato al Giardino dei Ciliegi con “Parola di donna”. Fra le mie passioni le autrici 800/900 e le scrittrici migranti. Insieme a Liana Borghi, mi sono occupata della Scuola estiva residenziale di intercultura e genere “Raccontar(si)” a Villa Fiorelli/Prato dal 2001, proseguita fino al 2008 (xoomer.virgilio.it/raccontarsi), poi articolata in Seminari. Collaboro a Le monde diplomatique/il manifesto e a Letterate Magazine on line. Fra le pubblicazioni, ricordo con Luciana Brandi, L’arma di cristallo. Sui ‘discorsi trionfanti’, l’ironia della Marchesa Colombi, 1998; con Liana Borghi Il sorriso dello stregatto. Figurazioni di genere e intercultura, ETS 2010; Archivi dei sentimenti e culture femministe dagli anni Settanta a oggi, 2015. Nel 2010 Scrittrici migranti. La lingua, il caos una stella, frutto di interessi, letture e relazioni affettive e politiche.  E nel 2106 ho coordinato la ricerca di Laura Marzi, Il Giardino dei Ciliegi. Storia e intrecci con altre associazioni a Firenze e in Toscana (1988-2015). Liana Borghi: Socia fondatrice della Società Italiana delle Letterate, sono stata referente per l’Università di Firenze di ATHENA, la rete tematica europea Socrates di women’s studies. Ho organizzato eventi con Clotilde Barbarulli da prima del 2000 e ho poi organizzato — con lei soprattutto, ma insieme a tante altre, Raccontar(si), il Laboratorio estivo dedicato all’intercultura di genere di cui abbiamo pubblicato quattro raccolte di saggi. Per uno sguardo veloce su quegli anni invito a leggere “Prospettive libertarie e strategie queer in una scuola estiva” in A/Rivista anarchica, n. 385, 2013-14. Con Rita Svandrlik ho inoltre curato un volume di 22 saggi sulla letteratura comparata al femminile, S/Oggetti Immaginari: Letterature comparate al femminile (1996), ripubblicato quest’anno come primo e-book della collana Mnemosine della SIL. Del mio lesbofemminismo queer trovate traccia in un librino curato con Francesca Manieri e Ambra Pirri, Le cinque giornate lesbiche in teoria (Ediesse, 2011), e in altri saggi, come: “Tramanti non per caso: divergenze e affinità tra lesbo-queer e terzo femminismo” in Altri femminismi. Corpi Culture Lavoro a cura di Teresa Bertilotti, et al. (Manifestolibri, 2006); “Connessioni transatlantiche: lesbismo femminista anni ’60-70, Genesis X/2, 2011; “In the Archive of Queer Politics: Adrienne Rich and Dionne Brand Listening for Something”, in World Wide Women. Globalizzazione, generi, linguaggi, a cura di L. Ellena, L. Hernández Nova e C. Pagnotta, CIRSDE vol. 4, 2012 on line; “Assemblaggi affettivi: l’amore al tempo del quantoqueer” in L’amore ai tempi dello tsunami, a cura di G. Giuliani,  et al. (Ombre Corte 2014). Aggiungo che dirigo con Marco Pustianaz la collana àltera (ETS, Pisa) per la quale ho curato Zami di Audre Lorde (2014) ed è in corso di stampa una raccolta di saggi della fisica e filosofa femminista Karen Barad. 

Michela Angelini, attivista deattivata, anima pansessuale in corpo trans, pensatrice divergente. Laureata in medicina Veterinaria, co-fondatrice e collaboratrice del collettivo intersexioni fino al novembre 2014. È membro del collettivo anarcovegecofemminista Anguane. Un suo saggio, “Gabbie” si trova su https://anguane.noblogs.org/?p=2519.

 

Elena Biagini, nata a Pistoia, fiorentina d’adozione, vive e lavora a Roma dove  insegna lettere in un liceo.  Lesbica militante fin dai primi anni Novanta, da sempre in Azione gay e lesbica, ha fatto parte del Coordinamenro Facciamo Breccia e tra le varie esperienze a cui ha contribuito segnala Alziamo la Testa di Verona, la II e III settimana lesbica, l’esperienza del social forum e in particolare il collettivo 8 marzo, le manifestazioni contro la violenza maschile sulle donne del 2007-2008, e FLAT, le 5 Giornate Lesbiche, Radio Onda Rossa e in specifico il martedì autogestito da femministe ne lesbiche. La sua tesi di dottorato sul movimento lesbico è in publicazione presso ETS/Pisa.

Tra le pubblicazioni: “R/esistenze — giovani lesbiche nell’Italia di Mussolini” in Fuori della norma: storie lesbiche nell’Italia del primo Novecento, a cura di Luisa Passerini e Nerina Milletti (Rosenberg & Sellier 2007) e la cura degli atti del convegno organizzato a Firenze nel novembre 2009 da Azione gay e lesbica, Una ribellione necessaria. Lesbiche, gay e trans: 40, 30 e 20 anni di vita e cultura lesbica e gay e non solo, Bollettina del CLI, Queer, supplemento di Liberazione.

Alessandra Chiricosta: è una filosofa, storica delle religioni specializzata in culture del Sudest asiatico continentale dell’Asia Orientale, ha compiuto studi e ricerche sul campo in queste aree, in particolare in Vietnam. si occupa di filosofia interculturale e cross cultural studies, di questioni di Gender in prospettiva post-colonial e transculturale. Pratica, studia e insegna arti marziali come vie filosofiche naturalculturali, in un approccio che connette pratiche psico corporee e ricerca teorica. In particolare, ricerca e tiene corsi sull’accesso di corpi femminili alla forza combattente, anche nei contesti della violenza di genere. Collabora come consulente per varie Ong internazionali. Ha insegnato presso la Hanoi University, Vietnam, l’Università di Roma ‘La Sapienza’, l’Università ‘Urbaniana’ , Tor Vergata e l’Università ‘Roma Tre’, dove ha conseguito il suo Dottorato Europeo, congiunto con la SOAS di Londra. Ha compiuto ricerche e tenuto seminari e corsi universitari in Italia e all’estero.

Tra le sue pubblicazioni: Filosofia Interculturale e Valori Asiatici, 2014, O-barra-O; Following the trail of the Fairy-bird. Feminist movements in Vietnam in Mina Roces and Louise Edwards Women’s Movements in Asia: Feminisms and Transnational Activism.

Abstract: Un altro genere di Forza

“Alla fine mi resi conto di essere stata anche io in presenza di un grande potere: mia madre che raccontava storie. Una volta, quando ero già adulta, mi capitò di sentire il canto di Fa Mulan, la giovane che prese il posto di suo padre in battaglia. … Avevo dimenticato quel canto che un tempo era stato mio, datomi da mia madre, la quale forse ne ignorava il potere evocativo. Mia madre mi disse che un giorno sarei diventata una moglie e una schiava, e tuttavia mi insegnò il canto della donna guerriera. Crescendo, anche io sarei dovuta diventare una donna guerriera” (Maxine Hong Kingston, La donna guerriera).

Un racconto diviene prima voce, vibrazione e poi materia, vita. Un canto, quello di Fa Mulan, che, insieme ad altri, vive di corpo in corpo, ricordando alle donne cinesi che il destino di schiavitù a cui sono costrette non è inscritto nella loro carne: altre storie, come fiumi carsici, narrano di una forza combattente che non cerca il dominio, ma la libertà del fluire; di ragazze che hanno imparato a combattere dalle gru bianche e dal vento, riconoscendo la propria coappartenenza con il non antropico. La donna guerriera diviene colei che supera i dualismi, che riconosce l’intima interconnessione di ciò che viene separato nell’astrazione del dover essere: materia e pensiero, natura e cultura, anthropos e non-anthropos, maschile e femminile, yin e yang. Un gioco di energie, che confluiscono l’una nell’altra, configurando infiniti mondi. Nello spazio-tempo non reificato da enti, nel flusso delle inter-connessioni, le donne guerriere ci insegnano un altro genere di Forza.

Elisa Coco: Attivista femminista impegnata in percorsi transfemministi, intersezionali, lesbici e queer, è tra le fondatrici di Comunicattive, associazione e agenzia di comunicazione che si occupa di comunicazione in ottica di genere. Dal 2003 ha frequentato la scuola estiva su genere e Intercultura “Raccontarsi”, continuando negli anni a collaborare con le amiche de Il giardino dei Ciliegi e della SIL all’interno del gruppo politico affettivo delle Acrobate. Fa parte della staff del campo politico femminista di Agape, del Tavolo narrazioni mediatiche di Non Una di Meno e della rete di educazione al genere Attraverso lo specchio di Bologna.

È presidente dell’associazione Luki Massa che organizza il festival di cinema lesbico Some Prefer Cake.

Lidia Curti: professore onoraria all’Università di Napoli “L’Orientale”, scrive nell’ambito della critica femminista e postcoloniale, è impegnata nell’associazione ‘Oltremare per le relazioni interculturali’ ed è attiva nel gruppo di ricerca ‘Femminismi Futuri’ presso il Centro di Studi postcoloniali e di genere (UNO, Napoli).

Tra i suoi volumi, Female stories, female bodies (Macmillan 1998); La voce dell’altra (Meltemi 2006); e la co-cura di La questione postcoloniale (1997); La nuova Shahrazad (2004); Schermi indiani, linguaggi planetari (2008) e Shakespeare in India (2010).

Suoi interessi di ricerca recenti sono la letteratura diasporica femminile, la migrazione nelle pratiche artistiche, le contro-genealogie del pensiero femminista contemporaneo, e i ‘femminismi futuri’. Alcuni saggi relativi sono: “Transcultural Itineraries” (Feminist Review 2011); “Voices of a Minor Empire” (Farleigh Dickinson, US, 2011); “Scritture di confine” (Clueb 2011); “Stones, lava, sand, water. From the archives of the land to the languages of art” (Polimi, Milano 2014, www.mela-project.eu); “Dal fondo del tempo. Epiche di esilio e di migrazione” (Iacobelli 2014); “The House of Difference: Bodies, Genres, Genders” (de genere, 1, 2015), “Sognare in afro. L’estetica nera negli scritti di Stuart Hall” (Estetica 1/2015); “Tra presenza e assenza” (Iacobelli 2016); “Il soggetto imprevisto. Simone de Beauvoir tra femminismo e postcoloniale” (Mimesis 2017); “Percorsi femministi: estetica e etica della diversità” (Meltemi, prossima pubblicazione).

Antonia Anna Ferrante: è una studiosa e un’attivista terrona trans-femminista queer. Dottore di ricerca in Studi culturali e postcoloniali del mondo anglofono all’Università L’Orientale di Napoli, attualmente è attiva nel Centro di studi postcoloniali e di genere collaborando con l’Unità di Ricerca sulle Tecnoculture e con il gruppo Feminist Futures. Appassionata di cultura pop, ha concentrato gran parte del suo lavoro nella critica femminista e queer della neo-televisione e dei nuovi media, ma i suoi interessi spaziano dalla sci-fi femminista al post-porno, passando per il drag e gli album di famiglia, ma finendo sempre con la critica alla nuova normatività frocia e all’omonazionalismo.

Le sue più recenti pubblicazioni sono: “Super Troopers. The Homonormative Regime of Visibility in RuPaul’s Drag Race”; “Tempo di essere incivili. Una riflessione terrona sull’omonazionalismo in Italia ai tempi dell’austerity”; “Elena e Modesta oltre l’ambivalenza: un esercizio di lettura contra-sessuale”.

Abstract: Tra le Onde di Sense8. Parentele radicali e telepatia nelle piattaforme

M’immergo tra le Onde di Sense8 per condividere una parte di questa riflessione che ha come oggetto lo studio delle parentele radicali all’interno del dibattito sul futuro nella cultura queer. Mi soffermerò in particolare su due aspetti: la possibilità di ripensare i legami e le comunità attraverso nuove configurazioni tecnologiche; allo stesso tempo vorrei problematizzare i conflitti per la costruzione di nuove egemonie all’interno delle reti.
La serie tv sci>fi, creata dalle sorelle Wachowski e prodotta e distribuita sulla piattaforma web Netflix, è girata in 10 differenti paesi, sparsi sul globo, producendo quella che Muñoz (2009) avrebbe definito un futuro utopico, che produce nuove mappe di relazioni, parentele non informate dal sangue, non riducibili da ciò che ha un nome ed una definizione nella legge, nelle scienze e nelle tradizioni.

La riflessione che intendo condividere qui con voi è parte di un lavoro tutt’ora in corso di elaborazione che intende rileggere Sense8 attraverso gli strumenti della network culture in una prospettiva queer e postcoloniale. Lu Sense8 – divers* tra loro per i contesti in cui sono cresciut*, per generi ed orientamenti sessuali entrano in connessione tra loro grazie al gesto generativo di una madre Hub, una matrice che li mette in relazione tra loro come nelle tecnologie dei social media, costruendo i loro legami empatici e telepatici che prendono forma attraverso i contatti, senza limiti di tempo o spaziali. Inizialmente perfett* sconosciut*, a tratti spaventos* stranier*, costruiscono la loro relazione attraverso le visite, la condivisione, e la comune condizione di in/visibilità. La produzione di questo spazio ambiguo di realtà l* posiziona allo stesso tempo nel qui e nell’altrove, cosicchè la loro relazione, e più in generale la serie possa essere letta, con gli strumenti della network theory.

La serie può essere considerata un manifesto di Netflix: l’algoritmo con cui funziona la piattaforma è una macchina linguistica che ci impone a ripensare la nozione di inconscio che non abita già nella psiche, nel linguaggio e nella matrice interpretativa del sé. Netflix produce tra lu Sense8 e tra la comunità di fan quello che Guattari avrebbe definito un inconscio macchinico; già oggi queste tecnologie, che funzionano come scatole nere a cui intere comunità affidano componenti pre>individuali, pre>conscie e affettive, ci interpellano sui legami di interdipendenza in questi assemblaggi di comunità di affetti. Si produce così un “inconscio diasporico” (Cho, 2008) in cui si esperisce la telepatia, intesa come trasferimento di affetti a distanza, in cui la televisione, con le sue voci, sogni ed emozioni, è un medium di chiaroveggenza domestico che mette in contatto oltre il tempo e lo spazio (Blackman, 2016).

Pamela Marelli: laureata in storia con una tesi sul movimento femminista bresciano degli anni ‘70, si è occupata per anni di integrazione e intercultura, sia lavorando per un decennio come operatrice di uffici per persone straniere che per impegno politico come attivista di un’associazione antirazzista.

Ha curato l’editing del libro Il bagaglio invisibile. Storie di vita e pratiche di mediazione interculturale, esito del corso per la formazione di donne mediatrici del Progetto Equal. Stimolata da questa esperienza ha compilato una ricerca storica dal titolo “Il bagaglio invisibile. Esperienze di migrazione e mediazione culturale di un gruppo di donne straniere radicatesi a Brescia” che ha vinto, ex aequo, nel 2004, il Premio Dolores Abbiati promosso dalla Fondazione Micheletti. La passione per la ricerca storica l’ha portata, nel 2008, a raccogliere le storie di lavoratrici tessili nel libro Tessendo abiti e strategie. Esperienze e sentimenti di operaie bresciane.

Da qualche anno è riuscita a trasformare l’amore per i libri in professione lavorando come bibliotecaria precaria. Si sta occupando di una nuova ricerca dal titolo “Archivi del mare salato. Stragi di migranti e culture pubbliche.” Fa parte di Non Una di Meno Brescia.

Alessandra Marino è autrice del libro ‘Acts of Angry Writingn. Citizenship and Orientalism in Postcolonial India e lavora alla London School of Economics. Si interessa del rapporto tra letteratura e politica e ha scritto articoli e saggi sulla narrativa indiana, sull’arte postcoloniale e sulle rivisitazioni di Shakespeare in chiave contemporanea.

Laura Marzi: Nel mese di gennaio 2012 vince una borsa di ricerca del Fondo Sociale Europeo. Nel mese di novembre 2015 conclude il dottorato in Studi di Genere e Letterature Comparate, presso l’Université Paris 8 Vincennes – Saint Denis. Alla tesi è assegnata la dignità di stampa. La sua ricerca, svolta sotto la direzione delle professoresse Patricia Paperman e Nadia Setti, entrambe appartenenti al Centre d’études féminines et de genre dell’Università di Paris 8 e all’UMR LEGS, tratta della rappresentazione letteraria del lavoro e dell’etica del care.

È socia de Il Giardino dei Ciliegi. Nel 2016 ha svolto una ricerca, coordinata da Clotilde Barbarulli, sulla storia dell’Associazione fiorentina: Il Giardino dei Ciliegi. Storie e intrecci con altre associazioni a Firenze e in Toscana, pubblicato da Edizioni dell’Assemblea. Collabora con: Il Manifesto; Leggendaria; Letterate Magazine e per la rivista di satira femminista Aspirina Rivista Acetilsatirica. Attualmente insegna Women Studies all’Istituto Lorenzo de’ Medici di Firenze ed è vice-presidente della Società Italiana delle Letterate.

Roberta Mazzanti: è stata ricercatrice di Letteratura anglo-americana presso l’Università degli Studi a Milano, dove è nata nel 1953. Dal 1986 al 2010 ha lavorato come editor di narrativa per Giunti, ideando la collana Astrea, dedicata alla narrativa delle donne di varie epoche e paesi, e curando altre collezioni letterarie. Ha fatto parte della redazione di “Linea d’Ombra”, collabora tuttora con riviste e case editrici, e con l’Archivio delle Memorie Migranti. Fa parte dell’Associazione Forum per il libro e della Società Italiana Letterate.

Nella narrativa d’impronta autobiografica ha pubblicato di recente Sotto la pelle dell’orsa (Roma: Iacobelli, 2015); e nel 2003 per Giunti “La gente sottile”, in Baby Boomers: vite parallele dagli anni Cinquanta ai cinquant’anni, scritto con Rosi Braidotti, Serena Sapegno e Annamaria Tagliavini; fra i saggi, “Dalla ‘Stanza gialla’ alla ‘Terradilei’: tappe del viaggio di costruzione di sé di Charlotte Perkins Gilman” in AA.VV., Identità e scrittura. Saggi sull’autobiografia Nord-Americana, (Roma: Bulzoni, 1988), e “Sad new powers: parole d’esilio e d’amore nel romanzo In fuga di Anne Michaelsin AA.VV., Le eccentriche. Scrittrici del Novecento (Mantova: Tre Lune Edizioni, 2003).

Anna Picciolini: Ho lavorato per quasi cinquant’anni fra Roma e Firenze come insegnante, sociologa e giornalista pubblicista. Impegnata in politica da sempre (ho cominciato all’Università) ho alternato momenti di politica delle donne con incursioni nella politica “mista”. L’impegno politico a sinistra è stato sempre motivato dalla ricerca di nuove forme di organizzazione e dalla scommessa sulla possibilità di uno spazio politico in cui diverse soggettività possano interagire e lavorare per un cambiamento radicale dello stato di cose presente. Dall’impegno nella politica mista mi sono ciclicamente allontanata ogni volta che questa scommessa mi è apparsa destinata al fallimento. Dall’impegno nella politica delle donne, nonostante tutto, credo che non mi allontanerò mai.

Attualmente questo impegno si esprime nella partecipazione al Giardino dei Ciliegi, a Libere tutte, a Ipazia.  http://www.youtube.com/watch?v=DW_IF-FIjA

Alessandra Pigliaru: Ho 41 anni e vivo tra Sassari e Roma, città in cui lavoro collaborando stabilmente con le pagine culturali del manifesto. Attualmente sono presidente della Società Italiana delle Letterate e faccio parte del gruppo politico radicale collettiva_femminista. Ho un dottorato in filosofia e sono cultrice di materia in Storia della filosofia all’università di Sassari. Faccio parte della redazione del semestrale internazionale Giornale Critico di Storia delle Idee. Ed è proprio alla storia delle idee, in età moderna e contemporanea, che i miei interessi di ricercatrice indipendente si rivolgono in una prospettiva transdisciplinare prediligendo la scrittura e i saperi delle donne. Ho scritto per riviste online (tra cui LetterateMagazine, Diotima. Per amore del mondo), cartacee (tra cui Giornale Critico di Storia delle Idee, Via Dogana, LeggereDonna, The European Journal of Women’s Studies), collettanee (tra cui L. Cardone, S. Filippelli, Cinema e scrittura femminile. Letterate italiane fra la pagina e lo schermo, AA. VV., Contro versa. Genealogie impreviste di nate negli anni ’70 e dintorni) e ho all’attivo una monografia sul concetto di onore e vendetta nel Settecento italiano. La seconda, sul concetto di vulnerabilità, è in corso di pubblicazione. Così come è in corso di pubblicazione l’Abbecedeario Ceresa. Per un piccolo dizionario della differenza (nella collana Sil Mnemosine), curato insieme a Laura Fortini. Parte delle pubblicazioni si trovano nel mio profilo di Academia.edu.

Annamaria Rivera: già lungamente docente di Etnologia e Antropologia sociale nell’Università di Bari, è antropologa, saggista, scrittrice, attivista, collaboratrice di testate quali “il manifesto” e “MicroMega”. Dirige la collana di studi e ricerche “Antropologiche”, dell’editore Dedalo, per la quale ha tradotto o cotradotto, curato e introdotto le edizioni italiane di opere d’importanti autori francesi. In collaborazione con il COSPE, ha redatto studi sulla discriminazione, la violenza razzista e l’antisemitismo in Italia, richiesti dall’EUMC (Europea Monitorig Centre on Racism and Xenophobia). Ha, inoltre, collaborato ai quattro libri bianchi “Cronache di ordinario razzismo”, promossi dall’associazione Lunaria.  Da più di un ventennio privilegia lo studio e la ricerca intorno alle strutture, ai dispositivi e alle pratiche dell’etnocentrismo, xenofobia, razzismo e dei nessi fra quest’ultimo, il sessismo e lo specismo, ma senza trascurare altri temi, quali la transizione tunisina e il rapporto tra umani e non umani.

Fra le sue tante opere: La città dei gatti. Etnografia animalista di Essaouira (Dedalo, 2016); Il fuoco della rivolta. Torce umane dal Maghreb all’Europa (Dedalo, 2012); L’imbroglio etnico, in quattordici parole-chiave (con R. Gallissot e M. Kilani, Dedalo, 2012); La Bella, La Bestia e l’umano. Sessismo e razzismo, senza escludere lo specismo (Ediesse, 2010); Les dérives de l’universalisme. Ethnocentrisme et islamophobie en France et en Italie (La Découverte, 2010); Regole e roghi. Metamorfosi del razzismo (Dedalo, 2009); La guerra dei simboli. Veli postcoloniali e retoriche sull’identità, (Dedalo, 2005); Estranei e nemici. Discriminazione e violenza razzista in Italia (Derive Approdi, 2003). È anche autrice di un romanzo: Spelix. Storia di gatti, di stranieri e di un delitto (Dedalo, 2010).

Abstract: Dalle politiche migranticide dell’Unione europea al razzismo “popolare”.  

Il razzismo diviene sistemico quando è direttamente o indirettamente incoraggiato o perfino praticato dalle istituzioni e da mezzi di comunicazione. Oggi siamo nella fase in cui un tale circolo vizioso si rende del tutto evidente.

Basta pensare alla delegittimazione istituzionale, se non criminalizzazione, non solo delle ONG che praticano ricerca e soccorso in mare, ma anche di chiunque, anche individualmente, compia atti di solidarietà verso i profughi. È indubbio che un tale esempio dall’alto non faccia che incoraggiare e legittimare intolleranza e razzismo “dal basso”.

La stessa cosa può dirsi delle due leggi recenti, fermamente volute dal ministro dell’Interno, accomunate da una medesima ideologia disciplinare, sicuritaria e repressiva. L’una, la legge Minniti-Orlando, del 12 aprile 2017, è finalizzata a rendere più efficace la macchina dei rastrellamenti e dei rimpatri forzosi; l’altra, la legge Minniti, del 18 aprile 2017 (“in materia di sicurezza nelle città”), è finalizzata a sorvegliare, criminalizzare e punire la marginalità, la povertà, la nonconformità “etnica” e sociale.

Quanto all’attuale strategia “per contenere gli esodi”, adottata dall’Italia e legittimata dall’UE, essa dà la priorità all’esternalizzazione delle frontiere, al blocco delle partenze dalla Libia, alla pretesa di sigillare anche il sud libico stringendo accordi con le peggiori milizie e bande di trafficanti.

Essa, in realtà, non fa che rendere sempre più pericolosi, se non letali, i “viaggi della speranza”. Anno dopo anno, il numero di vittime dell’Europa-fortezza si attesta intorno al 70% dei decessi da esodi su scala mondiale. Tale è la strage nel Mediterraneo e talmente palesi le responsabilità dell’Unione europea che forse potremmo azzardarci a definirla genocidio, intendendo quest’ultimo come una forma di eccidio di massa unilaterale, in ragione dell’appartenenza a una certa collettività o categoria umana; o perlomeno considerarla al pari di un crimine contro l’umanità.

Olga Solombrino: è Dottore di Ricerca in Studi Culturali e Postcoloniali e membro del Centro di Studi Postcoloniali e di Genere presso l’Università L’Orientale. Ha pubblicato contributi sui temi delle politiche di visibilità e rappresentazione della comunità palestinese, con particolare enfasi su come i soggetti diasporici palestinesi usino gli spazi e i media digitali per ricomporre la geografia frammentata della propria dispersione. È membro del comitato editoriale di de genere. Journal of Literary, Postcolonial and Gender Studies.

 Abstract: Memorie del passato, archivi del futuro: riscrivere l’appartenenza palestinese negli spazi digitali

Nella sua opera più recente, In the Future They Ate From the Finest Porcelain (2016), l’artista transmediale palestinese Larissa Sansour disegna uno scenario distopico, ricostruito a cavallo tra un futuro post-apocalittico e le reminiscenze di un lontano passato. Qui la protagonista del mini film, che si definisce una “terrorista della narrazione”, si presenta come membro di un gruppo di resistenza che intende usare l’archeologia – le sue tracce e le sue politiche – per lasciare ai posteri la verità del legame tra un popolo e la sua terra: le porcellane con la trama delle kuffyeh palestinesi sepolte dal gruppo dei ribelli saranno un giorno la prova a supporto delle rivendicazioni del loro popolo. Se da un lato le immagini poetiche e fantascientifiche di Sansour ci espongono ancora una volta alla riflessione sulla costruzione dei miti e la fabbricazione di verità storiche come fondanti delle nazioni e delle identità, la sua interrogazione apre anche uno scenario rispetto alle possibilità di intervento da parte di coloro ai quali è invece negato il potere di creare e narrare la storia, e le storie, e quali strategie, passate presenti e future, possono essere messe in atto per sovvertire le asimmetrie di potere esistenti.

Seguendo gli spunti che emergono dall’opera di Sansour, affronterò nel mio intervento le questioni che legano memorie del passato e aspirazioni per il futuro per la comunità palestinese, discutendone attraverso le espressioni di scrittura e narrazione dei soggetti palestinesi negli spazi digitali (luogo privilegiato delle mie ricerche). Si tratta di narrazioni che inevitabilmente coinvolgono pratiche di ri-appropriazione del processo archiviale nella sua dimensione tecnologica, come momento di resistenza, capace di ridare dignità alle memorie negate del passato, dell’esodo e della catastrofe, e lasciare al contempo proliferare il desiderio per altri futuri possibili. Ma anche scritture e narrazioni che fondono le esperienze individuali in un corpo collettivo, condensandosi nella formazione di un altro archivio, quello delle aspirazioni e dei sentimenti, in cui il linguaggio fonde poetiche e politiche dell’appartenenza, in grado di tracciare nuove connessioni trasversali fuori e dentro i confini della comunità dispersa. Cercherò dunque di disegnare un percorso narrativo attraverso le voci di palestinesi, che riscrivono in vari modi, e dalle diverse latitudini della propria marginalità geografica e sociale la storia, ancora in divenire, del proprio incontro con il colonialismo sionista e delle proprie esperienze, congiuntamente determinate dalle condizioni di esilio ed estraniamento.

Cecilia Tedeschi: Veronese di nascita, dopo il diploma classico ho intrapreso gli studi Universitari sperimentando dapprima la Facoltà di Biologia dell’Università degli Studi di Trieste ma scegliendo poi una prospettiva differente sullo studio della Vita e dei suoi legami quali la filosofia. Nel 2014 mi sono quindi laureata all’Università Ca’ Foscari di Venezia in Scienze Filosofiche, con una tesi dal titolo “Note su forza e giustizia in B. Pascal e S. Weil”, curata assieme alla Prof.ssa Isabella Adinolfi. Per gli studi specialistici mi sono spostata all’Università degli Studi di Trento, con cui, nell’ambito del progetto Erasmus+, ho potuto studiare un semestre a Cracovia sviluppando un particolare interesse per le implicazioni politiche di alcune particolari filosofie della scienza. Nel 2017 mi sono laureata a Trento con una tesi magistrale dal titolo “Il postumano, mappatura di una critica femminista”, curata insieme alla Prof.ssa Giovanna Covi e alla Prof.ssa Lorena Cebolla.

Negli anni degli studi universitari ho sempre mantenuto un alto interesse per le questioni sociali. Così nel 2016, dopo varie esperienze di volontariato in Italia e all’estero, ho iniziato a collaborare presso la Residenza Fersina, centro di prima accoglienza per richiedenti asilo a Trento, proponendo laboratori per i migranti che fossero in grado di aumentarne la consapevolezza rispetto al ruolo sociale che la città e il paese riservavano loro, allo scopo di promuovere forme di reazione costruttiva e collaborativa. Attualmente, sono responsabile di un CAS per richiedenti asilo nella provincia di Verona.

 

Innamorarsi del mondo: Braidotti e Haraway sul divenire postumano

Nell’era dell’Antropocene e della sua estrema evoluzione nel Capitalocene, il pensiero filosofico e scientifico si trova ad interrogarsi sul rapporto fra identità e alterità, fra esseri umani e non umani. Emergono perciò come oggetto di indagine i legami che esistono o che si potrebbero intessere fra umani, animali, ambiente naturale e tecnologia. Simili percorsi possono tuttavia svolgersi nell’ottica dell’uso e consumo dell’altro/altra – seguendo perciò le logiche già in atto del capitalismo avanzato – o al contrario elaborando e performando simili relazioni in una direzione affermativa che sviluppi progetti di collaborazione multidisciplinare e multispecie. Mirando a questa alternativa visione del mondo e facendone un voto, Rosi Braidotti e Donna Haraway hanno dedicato i loro più recenti lavori ad un ripensamento dell’anthropos, dell’ambiente in cui vive e di ciò che si può creare a partire dallo sconvolgimento della sua prospettiva antropo/fallo/euro-centrica sul mondo. L’intervento cercherà quindi di mostrare come con percorsi differenti ma convergenti le due pensatrici elaborino visioni affini attraverso linguaggi diversi: forti di una solida formazione femminista sperimentano nuove vie del pensiero per muoversi – l’una a partire dalla biologia e l’altra a partire dalla filosofia – nella comune direzione della scoperta e creazione di nuovi modi di interpretare e vivere il divenire dei tempi postumani.

Alketa Vako, albanese d’origine e italiana da alcuni anni. Scrittrice, traduttrice e mediatrice culturale. Ha collaborato inizialmente con gli Enti pubblici di Prato approfondendo la conoscenza in prima persona dei problemi e del fenomeno migratorio sul territorio. Successivamente ha lavorato per la Regione Toscana occupandosi della promozione della salute dei migranti. Ha contemporaneamente seguito la sua passione per la scrittura, prima in albanese e poi nella lingua di adozione scrivendo direttamente in italiano. Nel 2009 ha vinto il primo premio al concorso letterario “Lingua Madre” al Salone del libro di Torino con il racconto “Fratello Sole, Sorella Luna”. Briciole è la sua prima raccolta di racconti in italiano.

Nicoletta Vallorani insegna Letteratura inglese e Studi culturali presso l’Università degli studi di Milano. È autrice dei recenti Anti/corpi. Body politics e resistenza in alcune narrazioni contemporanee di lingua inglese (Libraccio Editore, 2012) e Millennium London. Of Other Spaces and the Metropolis (Mimesis, 2012). Suo è anche Introduzione ai Cultural Studies. UK, USA e mondo anglofono (Carocci, 2016), mentre è in corso di pubblicazione Nessun Kurtz. Cuore di tenebra e le parole dell’occidente. (Mimesis). Dirige il Centro di Ricerca Coordinato Criminal Hero. Le forme del male nella narrazione contemporanea, coordina il progetto Docucity. Documentare la città ed è co-direttore della rivista online Altre Modernità. Si è occupata di scrittrici di fantascienza inglesi e angloamericane. È lei stessa autrice di romanzi di fs, il primo dei quali si è aggiudicato il Premio Urania 1993 (Il cuore finto di DR).

Fare mondo “altro”. Arcipelaghi alieni da UkLeguin a Nnedi Okorafor

L’idea centrale di questo contributo sta nell’individuazione di uno specifico immaginario arcipelagico, che si propone più spesso in narrazioni distopiche a firma femminile e che trova una sua precisa coordinata spaziale nella costruzione dello spazio: non più gerarchico e strutturato su un sistema di regole normative di organizzazione piramidale, esso tende a dipanarsi orizzontalmente e rizomaticamente, a costituirsi in unità indipendenti ma non monadiche, connesse in arcipelaghi simbolici e spaziali. Questa struttura – spesso trascurata dalla critica – rappresenta senza dubbio un sistema per render conto della differenza e dell’estraneità, dagli anni ’70 (U.K. Le Guin, The Word for World is Forest) ad oggi (N. Okorafor, Lagoon).