Donna Haraway: Story Telling For Earthly Survival

Un video di Fabrizio Terranova

(2016)

Per la traduzione in italiano si ringraziano

Elisa Coco e Marta Bencich di Some Prefer Cake; 

e Paola Fazzini per la successiva revisione

Presi il treno e arrivai alla stazione di Princeton. Era una bellissima giornata di primavera. Tantissimi studenti erano stesi al sole su quel prato costoso e sorridevano. Li guardavo e c’era qualcosa di molto strano in quest’immagine.

 Erano venuti in visita gli alieni? Erano tutti belli e molto sani. Ma ciò che davvero mi colpì fu che avevano tutti denti molto dritti. Denti raddrizzati. Sembrava che tutti fossero stati dall’odontoiatra. Enaturalmente anch’io da bambina ci ero stata, perché mio padre aveva i denti molto storti, e io li avevo ereditati. Ero stata dal suo stesso odontoiatra, che mi aveva mostrato le forme dei denti di mio padre, confrontandoli con i miei che erano identici.

Così mi hanno messo l’apparecchio ecc…Ed eccomi lì a insegnare a Princeton e tutti avevamo denti straordinari! Così mi interessai alla storia dell’ortodonzia.

 La mia domanda era: come fa l’odontoiatra a sapere quando fermarsi? Qual è la dentatura corretta? È una questione storicamente complicata. Come usiamo i denti? Se si devono masticare pelle o tipi diversi di cibo ci saranno mascelle con forme diverse. E poi ci sono casini genetici, con denti dappertutto come mio padre e me. Ho scoperto un meraviglioso fisico antropologo, Loring Brace, che aveva scritto un saggio sulla storia dell’ortodonzia, professione consolidata alla fine del XIX secolo, quando la medicina si divise in molte specialità. Mi era tutto molto familiare. Allora ero una storica della biologia. Ma a Loring Brace interessava come facevano gli odontoiatri a sapere quando fermarsi, nel correggere una dentatura. E individuò nella bio-antropologia di fine XIX secolo e di gran parte del XX secolo la progressione dalla mascella grande del pre-homo sapiens attraverso poi le “razze di uomini” un’immagine fondamentalmente razzializzata, razzista. Per la corretta angolatura del viso, l’ortodonzia si basava direttamente sull’antropologia razziale del XIX secolo. E la dentatura corretta derivava da una popolazione che non è mai vissuta sul pianeta Terra, salvo che nella scultura. L’angolatura corretta del viso è quella delle statue degli dei greci.

Sono cresciuta in una famiglia dove lo storytelling era parte dell’aria che si respirava e gran parte di ciò che accadeva la sera a tavola. Era una famiglia che amava le parole e il linguaggio, non una famiglia di intellettuali o di studiosi, ma una famiglia piena di risate e della vitalità di storie condivise.  Soprattutto a cena. E il perno di tutto ciò era mio padre, che è stato giornalista sportivo del Denver Post per più di 50 anni, ha scritto storie di baseball, basket, hockey. Papà amava scrivere sullo sport, non voleva fare il colonnista. Non voleva scrivere di scandali, scavare lo sporco delle grandi società. Voleva raccontare il pathos del gioco. Era un suo tratto fin dall’infanzia. Da piccolo aveva avuto la tubercolosi.  Ossea, non polmonare. Soprattutto alle anche, al femore e alle ginocchia. Molto grave. Gli ingessarono tutto il corpo, dal busto alle ginocchia, per tre anni. Immobilizzato e con notevoli dolori. Allora non c’erano trattamenti efficaci per la tubercolosi. Ebbe la fortuna di avere dei genitori, amici e vicini pieni di bambini, tanta gente che gli riempì la vita. Papà non era un intellettuale, e neanche la mamma. La famiglia amava le parole e le storie. Non erano né critici né particolarmente politicizzati.

 E quanto alle loro idee politiche, cerco di scordarmele.

La parte imbarazzante dell’infanzia… Da un lato c’erano il cardinale Spellmann e l’ambiente cattolico fascista della Denver irlandese cattolica degli anni ‘50. Cerco di scordarmi il lato politico, ma l’amore per le storie non me lo dimentico. E penso che mio padre fosse una presenza estremamente positiva. Il suo senso della narrazione era… rendere vivo per il pubblico quello che era vitale. Credo di aver ereditato l’amore per la narrazione anche dalla mia educazione cattolica. Immaginate la bambina seria che ero io crescere cattolica con l’immersione profonda nella liturgia e nei colori, nei simboli e nei rituali, l’incenso, gli abiti…Volevo guidare una crociata di bambini in Terra Santa! È proprio brutto… ricordare nel mondo di oggi che a 7 anni volevo guidare una crociata…  Però mi ricorda quanto sia profondamente radicata la cultura cristiana in questa cosa che chiamiamo “l’Occidente”, e quanto sia profondamente islamofobica.  In qualche modo la ereditavo senza saperlo. Credevo di ereditare il dramma di una bambina che guidava altri bambini nella battaglia per la verità o qualche altra strana fantasia. Non è strano che mi piacesse Fellini quando cominciai ad andare al cinema.

 Forse non è evidente a colpo d’occhio che questo bellissimo cestino Navajo — che naturalmente non ho il diritto di possedere — una delle ragioni per cui lo tengo quassù è che è anche imbarazzante.  Com’è che una figlia della conquista possiede questo oggetto?  Lo lascio come interrogativo aperto. Non possiamo toccarlo senza ereditare la cosa intera.  Non che mi senta in colpa perché lo tengo in mano, ma questo cestino è anche l’irruzione dell’intera storia dell’esproprio e della sovranità dipendente dei popoli Nativi Americani, del dispositivo dei prezzi vendita dei meravigliosi tappeti Navajo come se fossero lana grezza, che per decenni ha tenuto le famiglie tessitrici Navajo legate ai negozi in cambio di farina e zucchero…

Io non posso non sapere chi sono io nell’ovest americano.   Né lo posso dimenticare quando sento nella colonna sonora la vecchia cagna con cui facevo agility, un pastore australiano, un cane da gregge dei ranch della conquista dell’Ovest Americano. I nostri retaggi sono entrambi “bianchi” non come colore ma come dispositivo. E ora ha una disfunzione cognitiva… È un pochetto senile.  E si mette ad abbaiare un po’ confusa nel tardo pomeriggio, non sa bene cosa fare di se stessa.  Sentire la mia vecchia amica un po’ confusa e il suo abbaiare, come il cestino, mi ricorda in dettaglio l’intimità dell’eredità.  L’eredità delle grandi e delle piccole cose. La diversa durata della vita di una donna e di un cane, che abbiamo vissuta insieme per 10 anni.  E ora lei è vecchia come io non sono ancora.  Ed è mio dovere accompagnare la mia amica, siamo specie compagne che si accompagnano l’un l’altra.  Ora ha un momento di confusione mentale.  E averla qui a chiedere un po’ di conforto, mi riporta all’altra parte della narrazione. Vi dirò qualcos’altro: è stato considerato inopportuno… essere interrotti… Cayenne, penso che chiederò a Rusten di venire a prenderti.  Penso abbia bisogno di Rusten… così chiedo al mio compagno di venirla a prendere.

Prova di agility dell’AKC.  Sei un animale o una persona? Sono un animale, gorilla. Queste parole sono state dette dalla gorilla Koko all’umana Penny Patterson. Guardiamo queste parole dal punto di vista della critica culturale.  E disfiamo la cultura come questi gomitoli di lana.  Anzitutto vorrei spiegare il principio che uso per spiegare la produzione di cultura moderna… Mi sembra che il critico culturale abbia davanti un mondo che somiglia molto a gomitoli aggrovigliati.  Un modo per affrontare questa situazione è tirare un filo e cominciare a sbrogliare il groviglio dei significati iniziando a seguire un filo, poi un altro. Cosa conta come natura?  Per chi e quando? E quanto costa produrre natura in un dato momento della storia per un dato gruppo di persone? Un altro modo per immaginare questa situazione è una torta a strati, una di quelle della Pepperidge che prima boicottavamo per lo scandalo del latte in polvere della Nestlé. Si prende una torta a strati, tagliamo la storia come se fosse una torta, e iniziamo a smontare i livelli di significato. Smontiamo i livelli di significato di tutti i piaceri e di tutti i problemi che questi strati causano allo storico e al critico culturale. Torniamo a Penny Paterson e a Koko, e al problema di gorilla e scimpanzé parlanti. Questa parte diede fastidio a mio padre… nel primo mondo, in questo tempo mitico chiamato XX secolo.  E facciamolo guardando alcune copertine del National Geographic che presentavano Koko al pubblico americano negli anni ’70. Nella prima copertina c’è Koko che si fotografa allo specchio con una macchina fotografica giapponese. Quel che vediamo è la gorilla con l’attributo del riflesso di se stessa.  La gorilla con la macchina fotografica da turista giapponese. Si guarda allo specchio e si fotografa. È responsabile della propria immagine;

 rappresenta l’uomo universale.  L’immagine successiva che vediamo è Koko con un gattino in braccio.  Koko stessa con un animaletto, di nuovo Koko come uomo universale che dà nome agli animali.

Sono letteralmente circondata da due librerie fino al soffitto piene di libri di fantascienza che Rusten e io abbiamo letto e collezionato negli anni.  È una scelta idiosincratica, non storica.  Sono i libri che abbiamo letto e amato.  Per me, un classico come «La Luna è una severa maestra» di Robert Heinlein, l’ho letto molto tardi non da adolescente.  Da adolescente non leggevo fantascienza. La mia amica ed ex studente Katie King, che ha amato la fantascienza fin da ragazza, mi guida. Mi hanno introdotto alla fantascienza gli amici, il che vale un po’ per tutte le mie idee. Ho la sensazione che tutto ciò che penso provenga dalla mia rete di amicizie. Ma nella fantascienza, i libri che sono stati veramente importanti e ancora lo sono, sono quelli di Joanna Russ, soprattutto Picnic su Paradiso e Female Man. E della generazione precedente, Naomi Mitchison. Sono scrittrici femministe di fantascienza e teoriche di due generazioni piuttosto diverse, entrambe lette nei movimenti femministi degli anni ‘70. Questi libri hanno avuto un enorme impatto su di noi.  Joanna Russ fece anche questo libro stupendo e sulla copertina: «Non lo ha scritto lei, ma è chiaro che ha compiuto l’atto.  L’ha scritto lei, ma non avrebbe dovuto. L’ha scritto lei, ma guardate cosa ne ha scritto.  L’ha scritto lei, ma ne ha scritto solo uno.  L’ha scritto lei, ma in realtà non è una artista e non è arte.  L’ha scritto lei, ma è stata…

 L’ha scritto lei, MA…». La scrittura delle donne è sempre stata spiegata minimizzandola: «Ha scritto, ma non è proprio grande letteratura».  «Ha scritto, deve aver preso da Nietzsche o da Deleuze.»  «L’ha scritto, ma…».

 È proprio qui che ho iniziato a scrivere mentre con Rusten, Jaye, Bob e Nick, stavano ancora costruendoci intorno la casa.  Avevamo l’elettricità, e io avevo un vecchio Hewlett Hackard 86 e una vecchia stampante a margherita.  Era enorme e buttarla in discarica poi fu un problema.  Aiutavo con la costruzione, costruivo il giardino e allo stesso tempo scrivevo.  In estate.  Perché il resto dell’anno insegnavo e non riesco a scrivere a ritmo sostenuto mentre insegno.  Perché insegnare prende ogni energia.  Richiede il meglio di te.  Potrai scrivere qualcosa di breve, ma non sono mai riuscita a scrivere davvero.  E ho smesso tanto tempo fa di chiedere tempo per la ricerca perché il processo era così alienante.  Guadagnavo abbastanza per finanziare periodi di libertà.  Avevo uno stipendio, la mia ricerca non è costosa, non ho bisogno di un laboratorio.  Quindi smisi di chiedere sovvenzioni   decisi di scrivere in estate e nei tempi morti.  Scrivevo qui, circondata dalla bellezza, dalle sequoie, da un bellissimo torrente, da amici, amanti e famiglia. E sono circondata da libri e ho un computer favoloso.  Questo è vecchio, non è qui che scrivo ora.  Avevamo un sistema di computer piuttosto serio prima di avere il telefono.  Abbiamo installato i computer prima di tutto il resto. Il lavoro digitale! Sia io che Rusten siamo software designer, facciamo lavoro di design, progettazione di software per diverse aziende… La competenza dei mondi digitali era parte della mia rete di amicizie e questo spazio divenne un ottimo posto per scrivere.  Qui scrissi Primate Visions, e gran parte del “Manifesto Cyborg”.  Non ha avuto origine qui, ma il processo di scrittura sì.  Perché c’era un ritmo fra fatica fisica e scrittura.  E molto buon cibo perché siamo tutti cuochi. E oltre che nei computer avevamo investito subito in un’ottima cucina e in un forno a ventilazione. Il frigo era ancora fra le sequoie coperto da un pezzo di compensato.

Benvenuti a California Bird Talk. Sono Rusten Hogness.  Quest’anno abbiamo cercato di sentire meglio gli uccelli.  Oggi ascoltiamo due canti molto diversi di un passero cantore registrati da Chris Tenny nel parco nazionale Los Padres.  Suono un paio di variazioni di ogni canto a velocità normale, poi rallentata di 8 volte per distinguere ciò che gli uccelli riescono a sentire a velocità maggiore.

 Ecco il primo canto.  Ora rallentato.  Il secondo.  Rallentato.  C’è un mondo meraviglioso di suoni là fuori. Godetevelo!  Per California Bird Talk, sono Rusten Hogness.

Ripiglino non è solo un gioco di figure fatte col cordino, ma è un modello di pensiero e narrazione.  Per me è un esercizio di lavoro. Io, Vinciane Despret, Isabelle Stengers e Bruno Latour giochiamo insieme a questo gioco in molti modi perché abbiamo una specie di amore per il pensiero dell’altro e una specie di profondo bisogno di trasmetterci reciprocamente queste figure. Come avviene che la fantascienza e chi la scrive diventano non illustrazioni di dibattito o illustrazioni di pensiero, ma pensiero vero e proprio? La fantascienza attraversa una specie di metamorfosi, una trasmutazione, ed è pratica teoretica e le donne hanno ripetutamente compreso che per non essere fatte sparire dal potente dispositivo del pensiero maschilista, dalle pratiche maschiliste sia nelle istituzioni che a livello individuale…  Il nostro pensiero viene fatto sparire in fretta.  E credo che una delle pratiche femministe, di Le Guin, Isabelle, Vinciane, e mie, le stiamo ancora insegnando a Bruno…  Sta migliorando un po’…  Scherzo! Una delle pratiche femministe, è di essere deliberatamente e accuratamente molto precise sulla storia delle idee e sulla specifica creatività, originalità e importanza del pensiero delle altre donne.  So per esperienza mia, e di altre donne potenti che conosco, che la velocità a cui spariamo dagli apparati di citazione è da togliere il respiro!

 Poi parleremo della storia di Camille, che io, te e Vinciane stiamo cercando di raccontare  e le storie dei bambini del compostaggio, del suolo, del sottoterra, del buio, della notte, dell’incapacità, della non-azione, del non-successo, non come una cosa brutta, ma come quel suolo in cui le anime umane, e non solo quelle, vengono create.

Quindi chi scrive fantascienza, chi scrive sempre di queste faccende, chi racconta storie di questo fare mondi, secondo me scrive, in senso stretto, testi filosofici.  Non mi sembra di importarli in un diverso tipo di lavoro, né tantomeno di usarli per illustrare un mio punto di vista. Ma le storie che raccontano, per me sono pensiero.  E il pensiero è ciò che dobbiamo produrre. Non la disciplina della filosofia o dell’economia politica o biologia o letteratura o, o, o… Le discipline se la caveranno da sole.  Non che in esse sia tutto cattivo, ma il pensiero è ciò di cui siamo fatti.  Il pensiero è una pratica materialista con altre pensatrici/ori, e parte del pensiero migliore si attua come narrazione.

Ingrassate, grosse e mute hanno l’aria stupida, non sono divertenti, le mucche non sono divertenti.  Mangiano per crescere, crescono per morire, muoiono per essere mangiate come hamburger.  Mucche ben cotte. Nessuno ci ha pensato, nessuno sapeva, nessuno immaginava la grande mucca guru. Le mucche si sono unite.  Si nascondeva nella foresta, leggendo libri con grande zelo. Amava Che Guevara, un rivoluzionario.  Chow Tse Tung.

Parlava di giustizia, ma nessuno si scuoteva. Si sentiva una reietta, sola nella mandria. Crisi di mucca. Muggì: dobbiamo lottare, fuggire o moriremo.  Le mucche andarono alla riunione ‘per non finire grigliate” o in un brutto battuto.  Ma venne catturata, stipata in una cassa, caricata su un camion in viaggio verso il suo destino.  Le mucche rimasero a terra.  Era una giovane mucca forte, sembrava un po’ confusa, nessuno sospettava avesse un mitra. Mucche con pistole.  Vennero con un ago da ficcargli nella coscia. Sferrò un calcio all’inguine, gli pisciò in faccia… Mucca ben dotata.  Buttò giù un trattore andò verso la porta, 6 galloni di benzina si riversarono per terra.  Correte, mucche, correte! Prese un megafono e saltò sul fieno.  Siamo bovini liberi e vagabondi, corriamo liberi.  Oggi.

Anzitutto un’autocitazione. Ce la possiamo dimenticare in fretta, sebbene sia in francese! Il che mi piace. L’ho scritta in inglese e Isabelle l’ha tradotta in francese, e ora la leggo in francese per parlarne in inglese, e anche questo è un gioco di ripiglino. «Abbiamo bisogno di altri tipi di storie.»  Dobbiamo cambiare la storia.  Le epoche, le storie della terra. Dobbiamo cambiare la storia mortifera, la storia delle prime bellissime parole e armi, la storia dell’uccisione e del successo, che è una seconda nascita, che è l’uccidere. Sartre afferma che nella seconda nascita diventiamo umani.  La prima è un «mero» nascere, la nascita dalle donne, dalla terra, dal suolo.  La conquista di sé che segue a una missione, la cui realizzazione è tragica, il tipo di coscienza che è umano, quella è la seconda nascita.  Che di solito avviene attraverso qualche tipo di uccisione. Se mai c’è stato un non-senso davvero eccezionale, e un non-senso che ha regolato la narrazione…

Sartre ha solo concretizzato e distillato un antico insieme di regole, non solo credenze, ma impegni presi.

E tutti noi ci troviamo ora nella continuità della vita che conosciamo, in cui si sta intromettendo Gea, in cui l’intrusione di ciò che non verrà più soppresso minaccia le consuetudini di vita, ma non minaccia la vita stessa. La vita continuerà finché il pianeta avrà le giuste condizioni di temperature e umidità. I microbi hanno grande inventiva.  Non è la vita stessa a essere in pericolo, ma vaste parti della vita e del divenire fra noi insieme, fra popoli e specie di questa terra. Di questo si tratta e della velocità di estinzione, dei modi di vivere e di morire di gente di ogni specie, umani inclusi, davvero sull’orlo di cadere nel nulla. È in gioco la storia della Terra a cui noi partecipiamo. Ovviamente la nostra estinzione è davvero possibile.  Ma con o senza estinzione, in termini di morte finale, l’approfondirsi della distruzione dei modi di vita sulla terra sta accadendo.  E la storia di questa terra, l’arte di vivere in un pianeta danneggiato, il dovere assoluto di diventare capaci, di renderci vicendevolmente capaci di cambiare la storia in una storia di continuità in divenire coltivata nei tunnel della terra. Se chi produce la vita e la morte su questa Terra potesse iniziare a esporsi per proporre qualcosa di reale, per fare una proposta, nel senso di Whitehead: ciò che ancora non è, ma potrebbe essere.  Una modalità di coerenza che potrebbe avere una chance in ogni dimensione — finché le storie non cominceranno a essere raccontate così, e allora quelli che trasmettono notizie ascolteranno quei brani di storia effettivamente raccontati, là dove la gente veramente lo fa, e non sono solo notizie.  Magari poche, e magari molto deboli.  Come rendere le storie deboli più forti e le storie forti più deboli?  Non abbiamo parole ora, e le rappresentiamo male, ma il pensiero arriva sempre quando mancano le parole.

Da brava bambina cattolica cresciuta leggendo Tommaso d’Aquino avevo dei dubbi sulla fede e mi dicevano di leggere quella roba. Quando avevo 13 o 14 anni non capivo una parola, i mistici, Tommaso d’Aquino, pietà…  non ci capivo niente, ma ti incasina la testa, cambia chi sei.  E fin da subito, teenager cattolica, sapevo che dal momento in cui inizi a recitare i nomi di dio, sei un’idolatra. Nell’istante in cui credi di avere un buon nome sei diventato un idolatra. Hai detto una bugia molto peculiare.  Il tipo più grande di bugia. E che la sola verità che può essere detta deve essere il fallimento del nominare, e il fallimento del dare una buona reputazione. E nel momento del fallimento c’è un qualche incontro con «questa cosa», qualsiasi cosa «essa» sia.  Qualcosa che non è una bugia.  E nel momento in cui la chiami dio sei un idolatra. Gli adoratori di dio sono idolatri.  Eppure il solo modo di capire, di entrarvi in presenza, dicevano i mistici che hanno formato la mia mente incasinata di 13enne, il solo modo di entrarvi in presenza è continuare costantemente a fare cose positive. Devi continuare a provare a far funzionare un esperimento, continuare a scrivere questa particolare storia, non una storia in generale, ma questa storia.  Devi fare QUESTO, devi essere QUI, non ovunque.  Devi essere attaccato ad alcune cose, non a tutte. L’unico modo possibile è sempre e di nuovo coinvolgerci reciprocamente a fare qualcosa. Chi è resistente, continui. I deboli, facciano una pausa! Io non ho scelta, noi non abbiamo scelta.

L’Antropocene è in corso.  È una parola abbastanza buona, fa un sacco di lavoro, un lavoro abbastanza buono.  Difficile per me, pace.  L’avrei fatto diversamente? A chi importa? Peccato.  A chi importa?  Davvero, che importa? Lavoriamo con ciò che abbiamo, e ci sono davvero posti in cui lavorare, dove quell’apparato e quella terminologia sono davvero importanti. Anche se è fatta per essere troppo grande, troppo importante.  Queste storie, Antropocene, Capitalocene, Gnagnacene, minacciano sempre di diventare troppo grandi. E appena lo diventano, si comportano come se dovessero prendere il controllo. E se vuoi cambiare la storia, questo non lo puoi fare. Io propongo “Chthulucène”. È uno scherzo, in un certo senso, perché anche questo minaccia di ingrandirsi troppo.

 Così Isabelle mi provoca. Lei, Pilippe Pignarre e altri sono molto preoccupati per il modo in cui il capitalismo e la sua critica ci rendono stupidi. E ci rendono stupidi in un modo particolare: ci fanno credere che al mondo non sia possibile altro. Il genere di stupidità che viene dalla costante ripetizione dell’ultima versione ancora più nuova e intelligente della critica al capitale. La più intelligente possibile, quella davvero buona. Il marxismo che non abbandonerò e rifiuto di lasciare, Bruno dire che non ci serve. Io credo che abbiamo bisogno del nostro marxismo e anche di tante altre cose. Ma come integrarle in modo intelligente nel ripiglino? Perché è stupido rimanere tanto incantati dalla bravura dell’ultima analisi del capitale da perdere il senso di ciò che è veramente importante nel mondo. L’unico motivo per fare questo lavoro analitico è imparare come raccontare un’altra storia e come aggiungerla al lavoro di chi già sta narrando le storie in altro modo. Ribellarsi è l’unica cosa possibile da fare nel mondo che abitiamo.  Come per Emily Carr, è un’insurrezione, un’insurrezione che rifiuta la paralisi della critica, che il mondo sia finito perché «sappiamo come funziona». “Sei stupido perché non sai come funziona, sei solo un attivista, o una strega o che altro; se credi in tutte quelle sciocchezze, se sei solo un cristiano, sei davvero stupido; se sei musulmano, sei davvero stupido; se sei pagano, sei davvero stupido. Noi sappiamo come funziona veramente il mondo. Quel genere di arroganza, tipica degli accademici, è il nostro veleno.  Con quella avveleniamo proprio la cosa che pensiamo di stare facendo. Pensiamo di contribuire a costruire una storia diversa, e l’avveleniamo col nostro essere più intelligenti di tutti, con l’ultima versione della nostra teoria. Dobbiamo praticare la Guerra.  Dobbiamo essere per alcuni mondi e non per altri. Siamo contro alcuni modi di fare il mondo.  Siamo sinceramente contro l’oleodotto di Keystone e il prosciugamento dei combustibili fossili.

 È davvero importante ribellarsi, per alcuni tipi di vita e non per altri.

 È una specie di guerra dei mondi, ma è una guerra parte della proposta di pace, una proposta rischiosa.

 Dunque penso ci sia uno spostamento nel mondo e che abbiamo poco tempo. Viviamo in un periodo di tempo corto, lungo, non lo so, non istantaneo, ma forse non lungo, in cui c’è poco tempo per fare la differenza, forse non molto. Dopo il quale le conseguenze che abbiamo provocato non solo noi nel senso di umano, non è l’”anthropos”…  Non è solo il capitalismo, naturalmente, ma… se potessimo avere un solo nome per gli ultimi 500 anni di prosciugamento della Terra, di sfruttamento come risorsa per l’estrazione di ricchezza sotto forma di capitale…  È un’analisi abbastanza buona di cosa questi ultimi 500 anni hanno fatto a questa Terra. E abbiamo poco tempo…Ereditiamo le conseguenze e abbiamo poco tempo per capire se la pace è possibile.

 La vita di una persona è nel lavoro, nella scrittura e nel gioco. e la mia vita ha anche avuto una famiglia intensa e buona, famiglia riproduttiva, padri, madri, fratelli, cugini, con i quali sento legami molto forti.  Non è che ci sia qualcosa di negativo in quell’ambito. Ma nella mia vita adulta, soprattutto fin da quando riesco a ricordare, mia madre si preoccupava per ché non ero “sposabile”. Non ero inseribile nell’eteronormatività fin dall’infanzia. Non so perché, era così. Avevo 21 bambole, gran parte con la polio o nel polmone d’acciaio.  Avevo un rapporto con la femminilità non particolarmente inusuale, era un sia-sia, né-né, X su tutte le crocette e su nessuna. E nella mia vita adulta strinsi un forte legame con Jay, un compagno di dottorato a Yale, divenimmo amici e amanti senza altri modelli che il matrimonio per gestire il legame.  Sapevo che Jay era gay, non era un segreto, ma non mi ha fatto scattare nessuna gelosia, non so perché. Avevamo entrambi una ragione per sposarci ma il matrimonio era un modello sbagliato per ciò che stavamo facendo.  La nostra era una sessualità fratello-sorella.  Anche incesto è la parola sbagliata perché implica una sorta di violenza, che non c’era. Quel tipo di accumulo, fare famiglia facendo case, fare famiglia facendo genere…Era un periodo in cui molti sperimentavano con forme di vita sociale e sessuale.

Comuni e relazioni d’amore di tutti i tipi.  Il matrimonio eteronormativo era ridicolizzato e criticato, il che aiuta molto nelle proprie esplorazioni.  Bob, l’amante di Jay, il mio attuale amante, marito e amico Rusten si unirono e noi divorziammo ufficialmente, ma non riuscimmo mai a capire chi si teneva la macchina fotografica.  Non riuscimmo a dividere la proprietà.  Avevamo una seminatrice e una macchina fotografica. Qualsiasi cosa abbiamo fatto, era per la vita, in modi per i quali non avevamo modelli, salvo il fatto che un sacco di gente in quel periodo cercava modi di vivere per cui non c’erano modelli.  Ripensandoci non era così radicale, ma non si è mai trasformato nella famiglia riproduttiva come modello di una buona vita. E anche il rapporto con Susan e Marco Harding è di famiglia estesa.  In modi significativi, siamo famigliari estesi gli uni con gli altri. Legalmente, abbiamo messo a posto le cose con vari strumenti, ma soprattutto con l’ostinazione a vivere così.

 Jaye e Bob sono entrambi morti di Aids, Bob nel 1986 e Jaye nel 1991. Furono fra i primi a cadere sotto quel fuoco che spazzò via la loro generazione di uomini gay e continua a squarciare le popolazioni del mondo, anche se ora è gestibile come malattia cronica con i cocktail di medicine e il resto.  Tocca decine di milioni di persone, è un affare serio. Ci toccò nell’intimo, nel cuore della nostra famiglia. E la madre di Jaye, Maxine, una cristiana osservante, presentò me e Rusten come nuora e genero in questo complesso residenziale religioso.  E là non riuscivano neanche a capirlo. Maxine non sapeva neanche di averlo detto. Fare famiglia farla tra di noi, senza l’imperativo della riproduzione biologica, ma coltivando la responsabilità di spostare la popolazione della terra a livelli più tollerabili a cominciare nei paesi ricchi. E poi, come noti tu con  Cayenne, siamo imparentati con altre specie oltre gli umani. Facciamo le nostre case, le nostre famiglie, i nostri mondi con una quantità di altre creature.  E tutto questo mettere insieme potresti chiamarlo «fare parentela». La domanda non è tanto con chi vai a letto, anche se in alcuni punti chiave della vita questo conta, ma come costruisci famiglia-per-la-vita.  Vorrei vedere dispositivi istituzionali per adottare più facilmente adulti, per costruire famiglie legalmente protette, da coinvolgere nella progettazione e architettura della città, l’organizzazione di rituali per celebrare l’età adulta o la decisione di non avere un bambino. Come celebrare questo invece di vederlo come una tragedia?  Celebrando al contempo anche i bambini! Abbiamo bisogno di un tipo di gioia che non sia eteronormativa. Quindi, sì, un impegno per la vita.

Le riprese col green screen finalmente sono finite.  La fine degli effetti speciali!

Altri tipi di oggetti.  Posso avere un terzo occhio.  Non so cosa sta succedendo qui.  Là ho altre cose verdi, se le porti, la palla grande è in camera.  Questo è l’uovo che hai fatto, scusa. Ha fatto un uovo!  Ecco, ora ho proprio finito.  Mi è piaciuta la fine.

All’inizio del 21esimo secolo comunità di tutto il pianeta hanno sentito come un’urgenza di disfare i modi di vivere e di morire — un disfare che coinvolgeva umani e altre creature nel tessuto del nostro stare insieme sulla Terra. Un’onda di sensazione e azione, di pensiero e movimento, cominciò a spazzare la terra in modo molto particolare.  Iniziarono a formarsi comunità tra le 150 e 500 persone alcune già esistenti sul posto, ma trovandosi reciprocamente e unendosi con intensità praticate in modi del tutto nuovi, o spostandosi da un posto all’altro. Tutte queste comunità si sono formate intorno a un particolare tipo di intensità percepita, un bisogno sentito, una voglia, un desiderio, un progetto: vivere per il recupero delle creature della terra, umane e non umane; coltivare in qualche modo le arti di vivere in un pianeta danneggiato, per essere quelli venuti a recuperare e ripristinare dove potevano: comunità che già vivevano o si sono trasferite in terre danneggiate, per fare comunità di cura e partecipazione.

 Camille 1 è nata in una comunità che aveva deciso che sarebbero stati necessari almeno 3 genitori per ogni nuovo bambino.  E avere un bambino non era una cosa che si potesse semplicemente decidere, era piuttosto una decisione collettiva.  Così, chi voleva partorire e portare bambini nel mondo poteva dover aspettare o non essere mai in grado di farlo.  Ma potevano partecipare come genitori in una famiglia che cresceva un bambino.  Così Camille1 avrebbe avuto fratelli non necessariamente nella stessa famiglia, ma i bambini nati in questa comunità dovevano avere altri bambini che sarebbero stati loro fratelli ma che, quasi certamente, non sarebbero stati i loro fratelli biologici.  La persona che portava avanti la gravidanza, fosse maschio o femmina, aveva un particolare tipo di scelta riproduttiva. Doveva scegliere un simbionte, un’altra creatura che doveva essere in simbiosi col bambino umano per tutta la vita di quel bambino.  Così la donna che aveva partorito Camille 1, in un sogno che fece durante la gravidanza, scelse per Camille 1 il simbionte di una farfalla monarca.  C’erano tante farfalle monarca nella zona in cui si era stabilita la comunità. Alla pubertà, Camille 1, poteva fare molte cose. Poteva decidere di alterare il suo corpo, in maschio, femmina o altro, oppure scegliere di rimanere col corpo della nascita, o modificare parzialmente un po’ di questo, un po’ di quello. Alcune modifiche sarebbero state irreversibili, doveva vivere con le conseguenze. La comunità non aveva paura della sperimentazione morfologica e pensava che gli adolescenti dovessero avere i mezzi per sperimentare.  Camille 1 scelse di stare con la simbiosi e di approfondirla.  E la storia inizia con la prima erede di Camille 1, Camille 2. Nata femmina e da adolescente, Camille 2 decise di rimanere femmina ma voleva la barba.  Durante la vita di Camille 1 le relazioni simbiotiche non erano ancora a livello molecolare.  Ma le scienze biotecnologiche della comunità si erano sviluppate in modo tale, che quando nacque Camille 2 nella comunità era possibile e anche desiderabile che i simbionti e gli umani condividessero sostanza corporea e sostanza genetica.  Così, alla pubertà, Camille 2 decise di impiantarsi una barba fatta delle cellule staminali che producono le antenne delle farfalle. Così Camille 2 aveva un volto pieno di antenne di farfalle.  E le antenne sentivano, assaporavano l’aria, il cibo, e Camille 2 aveva un potenziamento sensoriale che rafforzava la sua capacità di occuparsi e interessarsi delle attuali possibilità delle monarche. Nella generazione di Camille 2 i bambini si impiantavano cellule staminali per costruire sulla propria pelle modelli degli insetti e delle creature di cui si occupavano. Avevano balli rave, droga e tutto il resto. Avevano vari tipi di giochi di luce e quelli che erano legati simbioticamente a polpi e calamari avevano i cromofori sottopelle, e se si eccitavano pulsavano esattamente come il calamaro, la seppia o il polpo.  Facevano questi splendidi spettacoli di luce con la loro pelle!  C’era giocosità in questa cura.  Proprio come fare famiglia senza fare figli era una questione di tutta la vita, formare e riformare famiglia non si faceva in una sola volta. Non ereditavi tutto in un colpo solo. Spesso le persone erano adottate a 50 anni. Le famiglie si formavano e si riformavano, magari rimettevano le case e riscrivevano le regole di responsabilità finanziaria in comune.  Era chiaro che fare famiglia era questione di tutta la vita e che le famiglie dovevano essere in grado di sperimentare e cambiare.  Gli impegni erano molto seri ma potevano assumere varie forme.  Si capiva che c’era bisogno di rituali e di sostegno nella rottura di storie d’amore e nel conseguente consolidamento delle amicizie. Naturalmente si fecero errori terribili. Si capiva che ci sarebbe stata molta sofferenza. Ma le comunità sentivano di essere figlie del compostaggio. Accettavano i guai. In un modo o l’altro erano qui per fare quei giochi a ripiglino che avrebbero reso possibile un continuo fiorire.