In primo voglio ringraziare il Giardino dei Ciliegi e Clotilde Barbarulli.

Onorata e felice di presentare, attraverso le voci di chi vi ha contribuito, il libro scritto in questo anno di assenza di Liana dal mondo visibile ma di sua più intensa presenza, come il libro stesso e la densità di queste due giornate attestano.

Un libro dedicato che si rivela non solo come il ricordo di Liana o la riflessione sul suo pensiero e sul portato della sua ricerca ma anche come una biografia collettiva, dentro una intra-azione e come riverbero di autobiografie che registrano un passaggio conoscitivo e affettivo importante della vita nell’incontro com Liana. “Non per fare altarini”, leggiamo nel documento di presentazione di questo convegno, ma per intravvedere la complessità del farsi insieme del pensiero, imbricato nelle vite, nel respiro, dentro il tempo, diffratto – sottratto alla temporalità lineare che farebbe collocare il senso così vivamente promettente di questa esperienza nel passato.

Ognuno di questi saggi mi ha toccato, commosso, perché oltre al riflettere esperienze e letture fondative intensamente vissute con Liana e grazie a Liana, raccontano anche un evento, la temperie dell’accadimento: spazi, atmosfere, circostanze, contesti in cui rimangono impresse immagini fugaci e luminose di lei. Immagini che restano nella trama del racconto di ciascuna/o, contribuendo ad una tessitura in cui affiora Liana, il suo pensiero, i suoi pensieri e insieme il momento irripetibile, la contingenza di ciascuna/o.

Del resto chi di noi potrebbe immaginare un pensiero disincarnato, un pensiero che preesista alla relazione stessa? E un libro come questo ne dà proprio la vibrazione. C’è nel ricordo, anche più intimo, il senso di fermento di questo pensare insieme in cui si intrecciano e si attraversano discipline, temporalità, confini artificiosi tra vivere e conoscere.

Molto tardi ho incontrato Liana, e non potete immaginare quanto la sua morte mi abbia toccato e mi abbia fatto rimpiangere di non averla conosciuta prima. Naturalmente la conoscevo per le sue scritture, traduzioni, interventi, tuttavia, mi sono domandata, leggendo i vostri racconti, dove fossi io. Negli anni Ottanta frequentavo il Virginia woolf, ricordo a Roma l’assemblea del Sottosopra verde. Da allora sono stati tanti gli attraversamenti e la necessità di posizionarsi rispetto ad identitarismi e binarismi. Contemporaneamente leggevo, con altre all’inizio ( giovani studiose di varie università com le quali c’eravamo incontrate per riflettere sulla “cancellazione” delle donne dal linguaggio e sulla violenza implicita della pragmatica comunicativa), poi anche con altri di diversi mondi e discipline i libri di Gregory Bateson, dove incontravo l’idea di complessità e di mente come struttura che connette, il rigetto dei binarismi epistemologici, l’idea che “la relazione precede” e che la differenza non è ontologica ma si colloca in quel tra che costituisce la relazione. Pensieri che hanno per me sempre dialogato com quelli che i femminismi proponevano in un posizionamento non solo teorico ma pienamente politico (e ogni volta che anche grazie a Liana, ho potuto leggere pensatrici come Haraway o Barad, correvo a sbirciare nella bibliografia se ci fosse Bateson).

L’incontro tardivo, tuttavia oltre a farmi domandare: dov’ ero mentre lei com altr* dava vita a tutto questo, è per me indelebilmente legato alla sua gentilezza, alla sua attenzione, al suo modo di ascoltare e darti valore.

Liana, “instancabile traghettatrice” di pratiche e di pensiero in divenire fertile e inquieto, mai definitivo. Mai definitivo significa capace di restare in contatto e in ascolto senza cristallizzarsi – e accomodarsi – dentro confortevoli letture identitarie della realtà. Significa questo: che tanto il pensiero che l’agire politico stanno nella relazione, di cui Liana aveva cura proprio come condizione per essere. La relazione, precede, dice Karen Barad che abbiamo letto ancora una volta grazie a Liana.

D’altra parte il lavoro polifonico del Giardino dei Ciliegi, l’esperienza di Raccontar/si sono stati presenti, in dialogo e hanno innervato la SIL nei cui convegni, attraverso i workshop, le le proposte, le letture, le riflessioni che Liana e Clotilde hanno portato, sono stati centrali.

Nella SIL, come è accaduto grazie ai femminismi, plurali, intersezionali e transfemministi e queer è sempre stato poroso il confine e attraversabile il luogo della valorizzazione del pensiero e della scrittura delle donne a fronte della loro evidente esclusione del patriarcato, verso l’apparire di soggettività non identitarie, disporiche, in divenire. Porosità nei confronti del mondo umano e non umano, della vulnerabilità dei corpi, della precarietà del lavoro secondo un’ecopolitica che include il vivente tutto e la materia stessa. L’oltrecanone del resto non si ascrivere solo alla letteratura ma ad una postura del pensiero e della politica capace di spostarsi continuamente verso ciò che non ha visibilità né parola.

Nel convegno SIL dedicato alla poesia, nel marzo 2022 Ecopoetiche ecopolitiche, poesia come cura del mondo, dedicato a Liana Borghi e a bell hooks, che ci avevano appena lasciate, ci orientavano antispecismo, meglio, intra-specismo, decolonialità, transfemminismo e queer e un intreccio fertile ha rappresentato la lettura del pensiero di Karen Barad da parte di Chiara Zamboni.

Il lavoro di Liana, che associo a quello di Clotilde, non si può chiudere solo dentro una bibliografia; è piuttosto una disseminazione che ha dato frutti imprevedibili nelle realtà più diverse.

E ora eccoci di fronte a Tessiture, tante voci, ognuna com la sua intonazione, dentro una diffrazione temporale e narrativa: occasione per spingere avanti un pensiero in dialogo con Liana.

Tessiture, il pensiero fertile di Liana Borghi mi collega subito al latte dei sogni della Biennale 2022 come alle tessiture, ai rammendi ai ricami che tante artiste hanno portato colà, al gioco del ripiglino (ma anche alla fertilità del compost) harawaiano.

In questo libro si raccolgono sedici saggi e molte più voci, segno di uno scambio intenso, pullulante, plurale tra tutt*, che pure si riferiscono a contesti, teorici, affettivi, politici differenti: dalla letteratura, alla fisica, al queer, al portato di esperienze come Raccontar/Si. In tutti continua il dialogo con Liana.

E la bio-bibliografia in fieri – e non potrebbe essere che così, trattandosi di un’immensa ragnatela di amore e conoscenza tessuta da Liana com altre/i a cura di Paola Fazzini e Cristina Raffo, con il contributo di Clotilde Barbarulli e Federico Zappino, aspetta tutt* noi per essere completata.

Maria Nadotti, curatrice di questo volume, nel parlare di Liana ci fa riflettere su come si muove il suo pensiero, spostando ogni volta più in avanti la necessità di riflettere sull’ habitat come sull’ habitus, considerando che “l’obbedienza alimenta il caos e la disobbedienza lo interroga”. E questo movimento, in Liana, con l’attenzione alle filosofie neomaterialiste arriva alla disidentificazione allo sganciamento dal bisogno di definirsi. L’aperto, che non c’entra niente con l’inclusione richiede una postura che sappia lasciare spazio ad altro che accade. La disidentificazione è un passo ineludibile.

Elisa Coco, che con le Acrobate ha partecipato alla ventennale esperienza della scuola, racconta la forza generativa e trasformativa di questa esperienza fatta com altre/altri,ù; l’affacciarsi, grazie a Liana all’incontro com tutt* e com le parole di bell hooks, Adrien Rich, Audre Lorde. Una scuola di saperi e di affetti ma anche una pratica dell’altrove cui Liana, avvertiva, era solita portare tutt*

Elena Biagini si sofferma su una Liana forse poeta, a partire dal Cuore di grano Giallo 1983 scritta in risposta all’invisibilizzazione del lesbismo che emergeva a partire da Più donne che uomini del Sottosopra verde. Se Elena puntualizza che trattandosi di un unicum è difficile parlare di stile, la poesia resta un atto politico “ a favore di una postura comunitaria (56). ( e credo che se potessimo attingere all’archivio di Liana, troveremmo tante altre scritture dover ritrovare questa postura)

Ad Elena Bougleux, chiederei di restituirci il fervido dialogo com Liana, a proposito dell’articolo Il queer alla svolta quantica ( Verona 2017) che portò all’uscita di Quanto e queer nel 2017. Attraverso il quanto/queer Liana osserva che non c’è differenza tra umano e non umano, che la materialità del mondo richiede “un aggiornamento delle nostre umane narrazioni onto-epistemologiche, un cambiamento radicale del nostro vivere”; che il lavoro culturale conduca a dis-imparare certi modi di vedere, agire, sentire con l’erosione del confine tra sistemi viventi e non viventi, l’esposione delle gabbie disciplinari e di genere.

In questi tempi inquietanti è necessario dis/fare il futuro. Decolonizzare un futura intrappolato nei sistemi di dominio.

Nell’incontro con la fisica in cui la materia, agentiva, – amorosamente – si lascia conoscere: la relazione descritta in questi termini da Karen Barad, mi commuove e credo che anche a Liana piacesse molto, perché richiede un ribaltamento radicale anche dei modi della conoscenza. Senza appropriazione.

Liana ha il suo modo di stare in relazione con il pensiero, di stanarlo ogni qual volta si cristallizzi in un apparato per metterlo alla prova di altre relazioni e posizionamenti e dei corpi pensanti. Liana sempre rilancia più lontano, con una generosità e a un’apertura alla relazione che non è mai disposta ad acquietarsi. E del resto, torniamo a ricordarlo, c’è un pensiero, come un soggetto, che preesista alla relazione stessa?

Ho provato gratitudine di fronte a questo libro. Verso Liana, verso il co-pensare appassionato, affettivo che lo ha reso possibile. Verso Clotilde che se ne è presa cura.

Elvira Federici: Tessiture
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